IL VOBBIA di Sergio Pedemonte

Particolare del Santuario di Tuscia
Particolare del Santuario di Tuscia

Il Vobbia, come tutto il territorio isolese, è un libro di Storia. Partendo dalla foce nello Scrivia, vediamo dapprima le spalle e la pila del ponte medievale tra Cantone e Pian (foto). Incontriamo poi il mulino della Ciappa punto d'incontro nei secoli passati tra produzione ed esazione di tasse sul macinato. Proprio di fronte c'è il palazzo Spinola Rivara del secolo XVI dove forse esisteva già una torre o un fortilizio. Quindi ci sono le gallerie scavate dal Genio Militare nell'ultima guerra (sponda destra) e ai tre Laghetti i resti murari di una roggia forse a servizio del mulino di cui abbiamo detto. Il Santuario di Tuscia è uno dei posti più belli e sereni dei dintorni, edificato tra la leggenda del Feudatario di Montecanne che cade da cavallo e le proprietà curative dell'acqua. La grotta con la Madonna è stata costruita con i "tufi" di Barma come Villetta Dinegro (foto). A Noceto affiorano nel greto le Argilliti di Montoggio, plastiche, scivolose, a volte rosse a volte verdi, che provocano i movimenti franosi dell'Albora e della strada per Griffoglieto. Poco sopra vediamo il B&B di Villa Regina, una casa signorile con un'atmosfera da Belle Époque.

centrale di Isolarotonda
centrale di Isolarotonda

Continuando il percorso di risalita del Vobbia, troviamo la diga a gravità massiccia costruita da Alessandro Savio nel 1931: un'opera di ingegneria impegnativa se pensiamo ai materiali con cui fu edificata, calcestruzzo e pietre senza armatura di ferro. Sulla sponda sinistra del lago si può vedere ancora il tratto di canale a monte utilizzato in precedenza. Tralasciando Vobbietta e la sua piccola chiesa, facciamo notare che la frazione aveva due officine da fabbro, un mulino e una segheria ancora negli anni '50. Sempre sulla stessa sponda sinistra, esistono le tracce del canale che alimentava mulino e officine e che iniziava al Lago del Passaggio. Qui, sulla destra, troviamo la centrale elettrica di Isolarotonda attivata nel 1917 con una turbina Francis e servita dalla diga del Castello della Pietra. Il canale di adduzione passa in alcune gallerie e attraversa il Vobbia al Ponte di Zan: una realizzazione difficile che costò la vita a due operai. Riprendiamo dalla centrale: vicino ci sono le cave di "tufo", una roccia di precipitazione chimica, proprietà di Agostino Zino. Agli inizi del secolo scorso questo materiale abbellì la grotta a mare del Lido d'Albaro, la villetta Dinegro, il castello Mackenzie in Corso Firenze, il castello del conte Raggio a Cornigliano. I notissimi costruttori Coppedé e Predasso utilizzarono questo tufo per abbellire alcune ville in Liguria. pare che lo Zino esportasse i suoi prodotti anche nelle Americhe.

il Ponte di Zan nel 1906
il Ponte di Zan nel 1906

Proseguiamo ancora a monte: ecco Barma, toponimo che significa grotta. Nei dintorni c'è in effetti a Caban-na da Rocca, antro formato da grossi massi di puddinga. La leggenda vuole che un eremita vi abitasse qualche secolo addietro ed è rimasta infatti la fontana detta dell'Eremita, vicino alla Casa Bianca dove fu ucciso a freddo il giovane partigiano Egidio Dedè (Jon). Il suo assassino era di Serra Riccò e militava nelle Brigate Nere di stanza a Isola, tal Mario Montella nato nel 1914. Sappiamo tutti che Egidio stava accompagnando un tedesco ferito, il caporal maggiore Napke. Il suo cadavere fu dileggiato dai fascisti e provocò sdegno in tutto il paese. Il Montella fu fucilato a Voltaggio il 25 aprile 1945.

Sulla destra del torrente ci sono molte gallerie, non lunghe, fatte dal 1° reggimento Genio Minatori di stanza a Novi Ligure.

Più a monte, al ponte di Zan, c'è la forra del torrente Vobbia in cui l'acqua scorre sotto enormi massi in uno scenario suggestivo. L'attuale ponte è recente e quello precedente vi è accanto: la leggenda vuole che sia stato costruito dal diavolo e che sotto le fondazioni vi sia una pentola d'oro. Il Rio di Busti, su cui è il ponte, sfocia nel torrente "controcorrente" indice di un disturbo geologico. Infatti a Busti inizia una valle inaspettata, larga, in piano e lunga diversi chilometri, proprio sotto la frazione di Cascissa. Alla sua testata c'è la Fontana di Ferro, sulfurea, di cui il Parroco di Marmassana aveva il diritto di due damigiane l'anno.

le arenarie a Briozoi
le arenarie a Briozoi

Dal ponte di Zan andiamo avanti, scendiamo nell'alveo e, sulla destra del torrente, troviamo gli affioramenti di arenarie con numerosi briozoi - piccoli animali invertebrati acquatici, quasi esclusivamente marini, che vivono in colonie arborescenti ancorate ad un substrato sommerso - risalenti a 30 milioni di anni fa. Raggiungiamo poi la casa dei Carminati che una volta era un'osteria dove servivano una magnifica gazzosa, la Tavella di Busalla, quando arrivavi a piedi da Isola. La tenevano in una conca d'acqua per raffreddarla e la temperatura era quella giusta. Lì sotto potete vedere i sedimenti lacustri attestati dal radiocarbonio a 10.000 anni fa circa. Sono costituiti da sottili strati di argilla e sabbia: la prima si depositava d'inverno quando il lago era ghiacciato e la seconda durante l'estate. Si chiamano "varve" e contando gli strati, come nella sezione di un albero, si contano gli anni. Sono piene di frustoli, tronchi di abete bianco, pigne, nocciole e indicano un clima freddo. Oggi si formano solo nei laghi della Scandinavia. C'è poi la diga piccola di Savio che fornisce acqua alla centrale di Isolarotonda: per evitare danni alla strada provinciale ne è stato abbassato il coronamento. Oggi è piena di ghiaia ma si può fare il bagno nel laghetto ai suoi piedi, se si accetta l'ibernazione.

 i ragazzi del Centro Culturale lavorano al restauro del castello nel 1981 - 1984
i ragazzi del Centro Culturale lavorano al restauro del castello nel 1981 - 1984

Siamo arrivati al Castello della Pietra. Non vi tedio con date e nomi: potete trovare la storia ufficiale in molti libri e siti web. Parliamo invece di Filippo Spinola, personaggio singolare che annidato lassù fa impazzire il Duca di Milano e il Doge genovese. I documenti iniziano a parlarne nel 1450 quando fa l'insolente con Francesco Sforza e assalta e deruba dei mercanti in quel di Borgo Fornari. L'anno dopo Milano e Genova vogliono radere al suolo il castello con lo Spinola dentro ma non hanno soldi per i mercenari che devono assaltarlo. Poi Francesco Sforza scrive a Galeotto Spinola dicendogli che occorre cavare dal castello Filippo Spinola a costo di tagliarlo a pezzi. Il bandito nobile continua nella sua attività derubando un mercante del suo carico zafferano. Nel 1458 depreda la carovana dell'arcivescovo Paolo Fregoso, fratello dell'ex Doge. Ultimo documento che lo nomina è del 1467 quando occupa indebitamente una chiesa nella prevostura di Albera e del campanile ne fa una fortezza. Non sappiamo come finì: impiccato o libero? Se andate sù al castello ricordatevi di lui, chissà che non ritorni.

La meta del Castello della Pietra ha offuscato tutte le stazioni che abbiamo già percorso nel nostro risalire il Vobbia e quelle che toccheremo. Dopo aver sorpassato un ruscello che si immette sulla sinistra del torrente in cui, pare, ci fossero sette seccherecci, arriviamo in un'ampia curva che si vede benissimo dalla soprastante strada e che rivela un "salto del meandro", fenomeno morfologico interessante. Significa che in antico il Vobbia era molto più in alto ed aveva un percorso rettilineo. L'età del lago glaciale visto sotto la casa dei Carminati (circa 10.000 anni) ci dà anche l'eta in cui incominciò l'approfondimento del letto del torrente con conseguente trasformazione in una curva (meandro). Cerco di spiegarmi con un orribile disegno qui sotto riportato. Ricordo che i meandri si formano quando il corso d'acqua deve rallentare, ad esempio alla foce, o perché incontra un ostacolo. E' il nostro caso: la frana che generò il lago costrinse il Vobbia a cercarsi un tracciato più tortuoso.

Risalendo il Vobbia finalmente lasciamo i Conglomerati che abbiamo incontrato a Isolarotonda ed in cui sono modellati il Castello della Pietra, Monte Reale, Montecanne e il Reopasso. La valle e il letto del torrente si allargano perché compaiono i calcari marnosi, ben più erodibili e, alla confluenza dei torrenti Fabio e Vallenzona troviamo il Comune di Vobbia e l'inizio del corso d'acqua omonimo. Nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora delle Grazie vi è una statua di Anton Maria Maragliano. In paese troviamo l'oratorio della Santissima Trinità che ospita la Confraternita della Santissima Trinità e di Nostra Signora della Mercede, dedita a numerose attività di carità rivolte ai valligiani, ai pellegrini e per il riscatto dei cristiani fatti schiavi dai Saraceni e dai Turchi. Un documento del 1705, diffuso dal "Magistrato per il Riscatto degli Schiavi", istituito a Genova nel 1597 e conservato nell'oratorio, riporta un elenco di cristiani caduti in mano degli infedeli. Le offerte che si ricavavano nell'oratorio, o almeno una parte, venivano inviate alla chiesa di San Benedetto al Porto in Genova dove era la sede principale dei Trinitari genovesi che coordinavano le operazioni di riscatto degli schiavi. Vobbia è anche famosa perché non molti anni fa si faceva ancora la corsa coi "gampi", i trampoli, residuo della tradizione nata per necessità quando non vi era ancora il ponte. Oggi chi sale a questo borgo non può non acquistare la mostardella di Gianni Torrigino e gli altri splendidi prodotti di un macellaio che meriterebbe un premio da Slow Food

tomba a  cappuccina fatta con i tegoloni
tomba a cappuccina fatta con i tegoloni

Il crinale tra Val Vobbia e Val Sisola ci rivela un paesaggio dolce e i toponimi che incontreremo nella discesa ci svelano subito un assetto morfologico che in antico era diverso: Lago Patrono, Lago Cerreto e rio Laghetto. Significa che in quelle zone antiche frane formarono uno specchio lacustre e che la loro effimera esistenza è ancora nella memoria dell'uomo. Ciò è dovuto alle argilliti che abbiamo incontrato anche sul versante di Salata e che sono rocce deboli, suscettibili all'acqua. C'è anche Camincasca con quel suffisso -asca che ricorda pure l'acqua (vasca, burrasca) ed è, per alcuni studiosi, addirittura preromano. Comunque lì, in un campo, trovammo i primi tegoloni nel 1981. Il luogo è località Moiassa che significa acquitrigno. Come vedete la toponomastica, la geologia e la morfologia sono legate indissolubilmente. Sulla destra della nostra discesa c'è Piansuolo con il castello diruto medievale. In un documento del 1210 viene descritto con due torri (una nuova) e una caminata cioè la sala grande del maniero dove si tenevano le riunioni e vi operava anche un notaio. Deve il suo nome al camino che vi era immancabilmente. Questa fortificazione era come una società per azioni odierna: i proprietari avevano quote diverse e furono nei vari anni il Comune di Tortona, i Malaspina, l'arcivescovo di Genova e altri.

Mongiardino. Fermiamo l'auto e guardiamo la lapide che è dalla chiesa di San Giovanni Battista. Essa ricorda l'impresa di don G.B. Piccardo (1871 - 1949) che il 12 maggio 1934 raddrizzò il campanile della parrocchiale. Questo sacerdote ingegnoso era nato a Mele ed era curato di Rosso. Già il precedente campanile di questo borgo, circa 300 anni fa, crollò devastando la canonica ed uccidendo la domestica del parroco di allora. In pochi mesi il suo cedimento era stato superiore ai venti centimetri. Riportiamo il resoconto del Secolo XIX: «…la pendenza di oltre un metro che presentava l’attuale campanile e che venendo a gravare col suo spostamento sulla canonica, già l’aveva gravemente lesionata con gravi fenditure, e massimamente in questi ultimi mesi, in cui il suo cedimento era stato superiore ai venti centimetri … il lavoro preparatorio, subito iniziato con semplici muratori del luogo, nel termine di dieci giorni era attuato. Il campanile fu squarciato nella sua base su tre lati e sostenuto con della sabbia pressata, mista a poca calce, e avente piccole aperture per lasciare libero il passaggio alle lunghe e speciali seghe che gradatamente dovevano, al momento opportuno, segare questa sabbia, la quale sgretolandosi, avrebbe dato modo al campanile di adagiarsi a grado a grado nella posizione di stabilità. Essendo tutto questo lavoro ormai ultimato, stamane alle 10, si iniziò il raddrizzamento del campanile, che in poco più di due ore veniva attuato. Infatti, alle 12,15, questo maestoso campanile che già gli abitanti ritenevano perduto, ritornava ad essere saldo e diritto come un tempo, fra gli evviva dei presenti». Questa ricerca è stata fatta con Maurizio Iappini e comparirà sul numero di giugno di "Novinostra In Novitate".

 

Continuiamo il viaggio verso la pianura incontrando Montemanno, toponimo che secondo l'amico Umberto Roberto Torretta, può derivare da "Monte degli Arimanni", facenti parte del ceto dirigente dell'epoca. Qui c'è il santuario di Santa Maria Assunta, forse chiesetta già nel XIII secolo. Sisola, alla confluenza del Torbora con l'omonimo torrente è una delle varianti del romano Insula: terra tra due corsi d'acqua, terra alluvionabile e così via. Bisogna frequentare la festa di primavera il 29 aprile per godere dei prodotti locali come la "Tosella" grano antico che Teresa Tacchella è riuscita a coltivare, o il Timorasso Sassobraglia. Sul lato sinistro del corso d'acqua una frana mise alla luce l'Ara delle Matrone oggi custodita nel Municipio di Roccaforte. Salendo al paesino citato c'erano, tra le argilliti e il soprastante conglomerato, delle miniere di lignite che sono state occultate da una frana. Il castello, recentemente consolidato, offre una panoramica molto bella: all'interno si può vedere l'immancabile cisterna e sul muro principale tre fasi di costruzione a partire dalla più antica (secolo XII?) 

Helminthoidea
Helminthoidea

Concludo l'itinerario Isola - Vobbia nel greto del torrente, risalendo il rio Vallenzona. Al ponte che l'attraversa sono state trovate Chondrites ed Helminthoidea molto belle: sono i segni che animali limnivori come i lombrichi, lasciavano nel fango marino. Verso il passo che va in Val Borbera incontriamo Salata: il toponimo non indica la via del sale ma, come Salò, Sale, Sala, si riferisce ai Longobardi ed era la struttura organizzativa della piccola proprietà terriera creata durante le prime fasi del loro Regno in Italia. La zona è cosparsa da innumerevoli frane dovute alla comparsa delle argilliti che rendono i versanti precari perché plastiche. Tra le due guerre, quando il Duce aveva la mania di rimboscare l'Italia, ma anche dopo, vennero piantati dei pini ora asfittici che non hanno nessun influsso sull'instabilità della terra. Arrivati sul crinale fermiamoci a guardare la valle del Sisola che ha altrettante emergenze artistiche, storiche, architettoniche.

Arrivati a Rocchetta sarebbe bello avere come guida Maria Cristina Pertica, fine conoscitrice della storia locale, sapremmo così che ai Marughi esisteva una zecca e la stamperia della famiglia Spinola. Nel palazzo seicentesco omonimo ci sono poi il "Museo della Resistenza e della vita sociale in Val Borbera" e quello di "Arte sacra". Rocchetta alcuni secoli fa era sotto la Ripa, cioè al di là del Sisola, ma a causa di una frana fu ricostruita sulla destra del torrente. Al centro del paese una lapide ricorda l'ospedaletto dei partigiani dove il prof. Tito Tosonotti ha salvato tante vite. Morfologicamente siamo in una situazione che genera un panorama bellissimo; i resistenti conglomerati emergono come un iceberg dalle argilliti e  contengono due cavità peculiari per essere in questo ammasso roccioso: il Pozzo del Negrin e la Tana del Tesoro, il primo profondo almeno 100 metri e la seconda 17.

la passerella sul Borbera a Pertuso. Da qui un bellissimo itinerario vi porta in 4 ore alla Croce degli Alpini, sul crinale della Ripa e poi a Roccaforte
la passerella sul Borbera a Pertuso. Da qui un bellissimo itinerario vi porta in 4 ore alla Croce degli Alpini, sul crinale della Ripa e poi a Roccaforte

Poco dopo Rocchetta il Sisola si getta nel Borbera. A Cantalupo, Campus ad lucum (campo presso il bosco) secondo Lorenzo Tacchella, l'attuale strada carrozzabile nasconde il vero borgo di case allineate lungo via Santa Caterina. Anche qui vi era un Palazzo Spinola poi demolito: la presenza di residenze nobili si coglie anche in un architrave in ardesia decorato con due animali fantastici. Pertuso ci sembra un nome facile: buco, apertura, e la forra nei conglomerati lo ha ispirato. Guardate però la valle come svolta di 90° verso ovest: il Borbera molte migliaia di anni fa sembra che proseguisse diritto nella valle del Grue. Nelle strette incontriamo il "Ponte rotto" che ha dato il titolo al libro autobiografico di G.B. Lazagna, il partigiano Carlo. Qui avvenne lo scontro dell'agosto 1944 tra ribelli e repubblichini quando Giovanni Violante (Mina) fece esplodere il vecchio ponte. Solo prima di Persi la valle si allarga e ci lasciamo alle spalle i conglomerati.